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 MediaMessaggiStudiOsservare: chiave per uno studio biblico fruttuoso     aprile 26, 2024  
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Osservare: questa è la chiave per uno studio biblico fruttuoso
 
Quando ci avviciniamo ad un passo, osserviamolo in maniera esclusiva; all’inizio senza consultare altri libri.
Osserviamo con attenzione; Spurgeon diceva che la maggior parte delle persone che legge la Bibbia, assomigli a delle mandrie che si trovano in mezzo all’erba folta e calpestano le piante e i fiori più belli. Osserviamo con l’intenzione di scoprire nei dettagli la bellezza della Parola di Dio.
Lutero diceva che quando leggeva la Bibbia, lo faceva come chi coglie le mele da un albero: “prima scuoto tutto l’albero, in modo da far cadere quelle più mature, poi mi arrampico e scuoto ogni ramo, poi ogni ramo più piccolo e ogni ramoscello, alla fine guardo sotto ogni foglia”.
Osserviamo in profondità; sicuramente non capiremo tutto in una sola lettura, ma leggiamo con l’intento di voler capire il più possibile, magari anche ponendoci delle domande tipo:
• Di chi è detto?
• A chi è detto?
• In quali termini?
• In che periodo?
• Dove?
• Con quale scopo?
• In quali circostanze?
In altri termini, esaminiamo sia il contenuto che il contesto.
Per studiare le Scritture con il maggior profitto, ricerchiamo in preghiera l’aiuto dello Spirito di Dio come principale maestro.
Il salmo 119 trabocca dell’amore del salmista per la scrittura. Questo ci porta alla conoscenza (v.18) alla comprensione (v.12) e all’ubbidienza (v.5).
Osserviamo questa figura e cerchiamo di calcolare quanti quadrati sono raffigurati.
 
Quadrato
 
Dopo aver formulato la nostra ipotesi verifichiamo la soluzione.
 
Questo mostra che c’è da scoprire molto di più di quanto possiamo pensare a prima vista, e questo è vero anche con la Bibbia. Ogni volta che ci avviciniamo alla Scrittura facciamo nuove scoperte; studiare la Scrittura è come estrarre e raffinare un metallo prezioso. Dobbriamo continuare ad impegnarci nel nostro lavoro finché non abbiamo estratto e raffinato il materiale, fino ad arrivare alla sua forma più pura.
 
Il tuo studio della Bibbia sarà rivoluzionato se applicherai la lezione insegnata dal Professor J.Louis Agassiz a un suo studente:

Più di quindici anni fa, entrai nel laboratorio del professor Agassiz e gli dissi che mi ero iscritto alla facoltà di scienze come studente di storia naturale. Lui mi fece alcune domande sullo scopo della mia venuta, sul mio passato in generale, su come in futuro intendevo usare la conoscenza che avrei potuto acquisire e infine chiese se desideravo studiare in qualche ramo specifico. All’ultima domanda risposi che, pur desiderando avere una buona base in tutti i settori della zoologia, mi proponevo di dedicarmi in particolare agli insetti.
“Quando vuoi iniziare?” chiese.
“Ora” risposi.
Questo sembrò piacergli e, con un energico “Molto bene” prese da uno scaffale un enorme barattolo di esemplari conservati in alcol giallo.
“Prendi questo pesce” disse, “e osservalo: si chiama Haemulon; tra poco ti chiederò che cosa hai scoperto.” Subito dopo, se ne andò, ma tornò presto con istruzioni su come dovevo prendermi cura dell’oggetto che mi era stato affidato.
“Nessuno è adatto a fare il naturalista” disse, “se non sa come prendersi cura degli esemplari.”
Dovevo tenere il pesce davanti a me in una bacinella di latta, e ogni tanto inumidire la superficie con l’alcol del barattolo, facendo sempre attenzione a richiudere correttamente il tappo.
A quei tempi, non c’erano tappi di vetro smerigliato e i barattoli non avevano una forma elegante; tutti i vecchi studenti ricordano quelle enormi bottiglie di vetro senza collo con i loro tappi di sughero impiastrati di cera, che non tenevano, mangiati a metà dagli insetti e insudiciati dalla polvere delle cantine.
L’entomologia era una scienza più pulita rispetto all’ittiologia, ma l’esempio del professore, che aveva immerso senza esitazione la mano in fondo al barattolo per afferrare il pesce era stato contagioso; e anche se l’alcol aveva “un odore molto forte di pesce vecchio” non osavo mostrare avversione in questi locali sacri e trattavo l’alcol come se fosse stata acqua pura.
Ciò nonostante, provavo un passeggero senso di delusione, perché fissare un pesce non riscuoteva l’entusiasmo di un entomologo appassionato. A casa, i miei amici furono infastiditi quando scoprirono che nessuna quantità di acqua di colonia poteva coprire l’odore che mi seguiva come un’ombra.
In dieci minuti avevo visto tutto ciò che poteva essere visto in quel pesce e andai in cerca del professore, che però era uscito dal museo; al mio ritorno, dopo che mi ero soffermato a guardare alcuni strani animali ospitati nella stanza superiore, il mio esemplare era totalmente asciutto. Mi precipitai a spruzzare il liquido sopra il pesce come per rianimarlo dopo uno svenimento, aspettando con ansietà che riacquistasse il suo normale aspetto viscido. Trascorso quel breve momento di eccitazione, non potei fare altro che tornare alla statica contemplazione del mio muto compagno.
Passò mezz’ora, un’ora, una seconda ora; il pesce cominciò a diventare nauseante. Lo girai sotto sopra, da ogni parte; lo guardai negli occhi (agghiacciante!), da dietro, di sotto, sopra, lateralmente, da un’angolatura a tre quarti, altrettanto agghiacciante.
Ero disperato; decisi, prima del tempo, che occorreva pranzare; così, con infinito sollievo, rimisi con cura il pesce nel barattolo e per un’ora fui libero.
Al mio ritorno, venni a sapere che il Professor Agassiz era stato al museo, ma era ripartito e non sarebbe tornato per qualche ora. I miei compagni di studio erano troppo occupati per essere disturbati da una conversazione continua.
Piano piano tirai fuori quell’orrendo pesce e con un sentimento di disperazione lo osservai di nuovo. Non potevo usare una lente d’ingrandimento; era vietato ogni tipo di strumento. Le mie due mani, i miei due occhi, e il pesce; sembrava un campo estremamente limitato. Infilai il dito lungo la sua gola per sentire quanto erano appuntiti i suoi denti. Iniziai a contare le scaglie nelle varie file, finché mi convinsi che il tutto non aveva senso.
Alla fine, mi venne la brillante idea di disegnare il pesce; allora, con sorpresa, iniziai a scoprire nuove caratteristiche di quella creatura. Proprio in quel momento tornò il professore.
“Giusto” disse. “La matita è uno degli occhi più precisi. Sono contento di vedere che hai anche tenuto il tuo esemplare umido d la bottiglia tappata.”
Con quelle parole incoraggianti aggiunse: “Allora, com’è questo pesce?”
Ascoltò attentamente la mia breve enumerazione della struttura di parti i cui nomi mi erano ancora del tutto sconosciuti: branchia con frange arcate e opercolo mobile; pori della testa; labbra carnose; occhi senza palpebre; linea laterale; pinna appuntita; coda biforcuta; il corpo compresso  e arcato.
Quando ebbi finito, il professore rimase li come se si aspettasse di più e poi, con aria delusa, disse: “Non hai guardato molto attentamente; perché” continuò con maggiore gravità, “non hai notato una delle caratteristiche più lampanti dell’animale, che hai proprio davanti agli occhi, come il pesce; continua a osservare, continua a osservare!” e mi lasciò al mio tormento.
Ero offeso, mortificato.
Trovare altri dati su quel pesce schifoso!
Ma da quel momento mi dedicai al mio lavoro con buona volontà e scoprii una cosa nuova dopo l’altra, finché capii quanto era stata giusta la critica del professore. Il pomeriggio passò velocemente e quando, a fine giornata, domandò: “La vedi ora?”
“No” risposi, “sono certo di non notarla, ma capisco quanto poco ho visto prima.”
“E’ già meglio” disse con la massima serietà, “ma non voglio sentirti ora; metti via il pesce e torna a casa; forse sarai pronto con una risposta migliore domani mattina. Ti interrogherò prima che tu osservi il pesce.”
La cosa era sconcertante; non solo dovevo pensare al mio pesce tutta la notte, riflettendo, senza l’oggetto davanti a me, su quale potesse essere quella caratteristica sconosciuta, ma ben visibile. E oltre tutto, senza rivedere le mie nuove scoperte, dovevo darne un esatto resoconto il giorno seguente. Avevo una pessima memoria; così tornai a casa a piedi passando per Charles River soprappensiero e con le mie perplessità.
La mattina successiva, il saluto cordiale del professore mi rassicurò; lui sembrava proprio ansioso quanto me che io riuscissi a vedere per conto mio ciò che lui vedeva.
“Forse lei si riferisce al fatto che il pesce ha due lati simmetrici con organi appaiati?” chiesi.
Il suo “Certo, certo” pienamente soddisfatto mi ripagò delle ore insonni della notte precedente. Dopo che il professore ebbe parlato con grande gioia ed entusiasmo, come sempre faceva, dell’importanza di quel dato, mi azzardai a chiedere ciò che avrei dovuto fare dopo.
“Oh, osserva il tuo pesce!” disse, e mi lasciò di nuovo libero di agire come volevo. Poco più di un’ora dopo, tornò e sentì il mio nuovo elenco.
“Va bene, va bene!” ripeté “ma non è tutto; continua.” E così, per tre lunghi giorni, mi mise quel pesce davanti agli occhi, vietandomi di guardare qualsiasi altra cosa o di usare qualunque aiuto artificiale. “Osserva, osserva, osserva” era l’ordine che ripeteva.
Questa fu la migliore lezione di entomologia che potessi mai avere, una lezione la cui influenza si è estesa ai minimi dettagli di ogni mio studio successivo; un’eredità di valore inestimabile che il professore mi ha lasciata, così come l’ha lasciata a molti altri. Una ricchezza che non avremmo potuto comprare e a cui non potremmo rinunciare.
Un anno dopo, alcuni di noi si stavano divertendo disegnando col gesso strani animali sulla lavagna del museo. Disegnammo stelle di mare che camminavano impettite; rane in un combattimento mortale; vermi con la testa di idra; gamberi maestosi, che stavano dritti sulle loro code e alzavano un ombrello; pesci grotteschi, con bocche spalancate e occhi fissi.
Il professore entrò poco dopo, e si divertì dei nostri esperimenti come chiunque altro. Osservò i pesci.
“Haemulon, ciascuno di loro è un Haemulon” disse. “Li ha disegnati…” disse pronunciando il mio nome.
“E’ vero; e fino a oggi, se cerco di disegnare un pesce, riesco solo a disegnare degli Haemulon”.
Il quarto giorno, accanto al primo pesce venne collocato un secondo pesce della stessa famiglia e mi fu ordinato di indicare le somiglianze e le differenze fra i due; ne seguii un altro e poi un altro ancora finché davanti a me si trovò l’intera famiglia e un’intera legione di barattoli ricoprivano il tavolo e gli scaffali tutt’intorno; l’odore era diventato un profumo gradevole e ancora adesso, al vista di un vecchio tappo di sughero di 15 centimetri, roso dai vermi, mi fa tornare in mente piacevoli ricordi!
Così fu passato in rivista l’intero gruppo di Haemulon e, che fossi impegnato nella dissezione degli organi interni, nella preparazione dell’esame della struttura ossea, o nella descrizione delle varie parti, l’insegnamento di Agassiz sul metodo di osservazione dei dati e della loro disposizione ordinata fu sempre accompagnato dalla pressante esortazione di non accontentarci di questi.
“I dati sono futili” diceva, “finché non sono ricollegati a una legge generale.”
Alla fine degli otto mesi, fu quasi con riluttanza che lasciai quegli amici per tornare agli insetti; ma ciò che ho guadagnato da quell’esperienza fuori facoltà è stato di un valore ancora maggiore rispetto agli anni successivi di studio nelle mie materie preferite.
(dal libro "Studiare e capire la Bibbia per conto proprio" di Richard L. Mayhue)
 
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